10 Scene Leggendarie nei Film Italiani - Volume 1

Nel cinema italiano ci sarebbero migliaia di scene da ricordare. Alcune fanno ridere fino a piegarsi in due. Altre commuovono, altre ancora lasciano un silenzio addosso.
Queste sono dieci. Solo dieci. Poche, ma impossibili da dimenticare.

Dieci momenti incisi nella memoria collettiva: una battuta, uno sguardo, una fuga, una risata.
Si ride, si piange, si riflette. E a volte si fa tutto insieme, nello stesso minuto.

Non è una classifica oggettiva. Non vuole esserlo.
È un piccolo viaggio dentro il cinema che ci ha formato. Che ancora ci abita.

🎞️ 1. "Ci pensa mio zio Antonello" – Fantozzi contro tutti (1980) 

Fantozzi sospetta che la Pina lo tradisca. La segue, fino al panificio. Ma il vero colpo al cuore non è la conferma del tradimento: è Cecco.

Diego Abatantuono entra in scena come una raffica. Sguardo strafottente, parlantina esplosiva, e un repertorio di doppi sensi che stordisce tutto e tutti. Fantozzi è pietrificato, lo spettatore spiazzato. Non c'è difesa contro una tale mitragliata di volgarità surreali.

E poi quella frase, detta con disinvoltura, fischio incluso, che chiude la scena e la scolpisce nella memoria: "Dei conti se n'occupa mio zio".

Un momento di comicità pura. Preciso. Irripetibile. Leggendario.

🎞️ 2. Il canto dei pompieri – ...Altrimenti ci arrabbiamo! (1974) 

Bud e Terence sono a teatro. Cercano di liberarsi di un cattivo armato, ma lo fanno a modo loro: fingendosi interessati a un'esibizione canora… surreale.

Sul palco, il Coro dei Pompieri intona una marcetta solenne. Terence si muove nervosamente per evitare il mirino. Bud, invece, inventa il colpo di genio: balbetta. Una trovata improvvisata sul set, che spiazza tutti e finisce nel film.

La scena è assurda, lenta, irresistibile. E quella canzone firmata Oliver Onions diventa immediatamente un tormentone.

Pochi minuti. Nessun pugno. Ma è comicità allo stato puro.

🎞️ 3. "So' greche" – Verdone e Mario Brega in Borotalco (1982) 

Un negozio di alimentari romano. Sergio, timido e impacciato, incontra il futuro suocero. È Mario Brega, in stato di grazia. E da quel momento, non c'è più scampo.

Prima il prosciutto "che è 'n zucchero", poi le olive, "greche", offerte con insistenza e tono da interrogatorio. Verdone mastica, annuisce, balbetta. È un duello verbale, ma il vincitore è già scritto.

Brega è un fiume in piena, Verdone un agnello terrorizzato. La scena è semplice. Ma è diventata leggenda.

Una manciata di battute. Un banco salumi. E la commedia italiana tocca l'eternità.

🎞️ 4. Il dentista – Vieni avanti cretino (1982) 

Pasquale Baudaffi esce di galera e va dritto in un posto che conosce bene. Ma qualcosa è cambiato: quella che era una casa d'appuntamenti, adesso è diventata uno studio dentistico.

Lui però non lo sa. E da lì parte uno degli equivoci più irresistibili del cinema comico italiano.

Lino Banfi, perfetto nella parte del confuso e arrapato, incontra Gigi Reder, ingegnere loquace con un dente in fiamme. Quel che segue è un duetto surreale, tutto doppi sensi, occhiate sbagliate e battute che sembrano venire dall'avanspettacolo degli anni '40. Ed è proprio così.

La scena è un omaggio dichiarato ai fratelli De Rege, a Plauto, alla commedia dell'arte. Ma soprattutto alla risata sincera, quella che nasce dall'equivoco più semplice: credere di sapere dove sei. E sbagliare clamorosamente.

🎞️ 5. "Marcello, come here!" – La dolce vita (1960) 

È notte. La Fontana di Trevi non dorme. E Sylvia la attraversa come un sogno.

Anita Ekberg è una visione. Tacchi in mano, abito nero, sguardo magnetico. Chiama Marcello. Non urla. Lo seduce: "Marcello, come here!".

Lui osserva, tituba, si avvicina. E Fellini ferma il tempo. Non c'è una scena di bacio, non c'è commedia, né dramma. Solo desiderio, sospeso in una Roma che non esiste più.

Una frase semplice. Un gesto. Un'immagine che ha fatto il giro del mondo.

Il cinema, quando decide di essere eterno.

🎞️ 6. Far fallire le feste – La grande bellezza (2013) 

Roma, terrazza dopo terrazza. Balli, trenini, luci stroboscopiche. Tutti cercano qualcosa. Jep Gambardella ha già trovato il vuoto.

"Io non volevo solo partecipare alle feste. Io volevo avere il potere di farle fallire."

Una frase che taglia l'aria come una lama. Non è solo cinismo: è consapevolezza. La grande bellezza non è nelle luci, né nei brindisi. È nel silenzio che resta quando la musica finisce.

Sorrentino dirige un film che parla dell'Italia, ma anche di noi. Del nostro nulla quotidiano, delle maschere, della nostalgia di un senso che non arriva mai. Jep è l'uomo che ha vissuto tutto. E non ha visto niente.

Una battuta. Un manifesto. Un'illuminazione malinconica.

🎞️ 7. "Le parole sono importanti" – Palombella rossa (1989) 

Un'intervista a bordo piscina. Michele Apicella, senza memoria ma con un'irritazione lucidissima, ascolta. L'intervistatrice parla. Ma usa le parole sbagliate.

"Alle prime armi… cheap… rapporto in crisi…"

Moretti la interrompe. Poi esplode: "Ma come parla?! Le parole sono importanti!"

Un urlo, uno schiaffo, una dichiarazione di guerra al linguaggio vuoto, abusato, alla superficialità che anestetizza il pensiero.

È satira. È protesta. È cinema che si fa coscienza linguistica.

Un uomo confuso che però sa ancora una cosa: come si parla, è come si pensa. E come si vive.

🎞️ 8. "Anche Bonanni compra" – Grandi magazzini (1986) 

Marco Salviati è un attore sul viale del tramonto e con una certa propensione per l'alcol. Deve girare una scena semplice per uno spot pubblicitario: uscire da un ascensore e dire con disinvoltura: "Anche io compro ai Grandi Magazzini."

Pochi istanti prima del ciak, in preda a un vuoto di memoria, si rivolge A Bonanni, il faccendiere sul set: "Ah Bonà, com'è la battuta?"

Salviati annuisce, sale in ascensore dopo aver scolato un cognac rubato al vassoio di un cameriere e sbaglia piano. Le porte si aprono su una riunione formale al piano dei dirigenti. Lui esce, guarda fisso davanti a sé e dice, solennemente:
"Anche Bonanni compra ai Grandi Magazzini."

Silenzio imbarazzato. I dirigenti lo osservano prima sbigottiti poi entusiasti. Salviati si guarda attorno e capisce di aver sbagliato tutto: la battuta, il piano, il momento.

Una scena surreale e perfettamente scritta, dove l'assurdo si mescola al grottesco.  

🎞️ 9. "E anche 'sto Natale ce lo semo levato dalle palle" – Vacanze di Natale (1983) 

È tardi. La serata è finita. Tutto è stato detto, mangiato, sopportato. Restano i parenti, i bicchieri vuoti e quell'aria stanca che si respira solo il 25 dicembre, dopo cena.

L'avvocato Covelli si alza. Sua moglie impone il silenzio: "Papà vuole dire una cosa…"

E lui, con lo sguardo di chi ha appena superato l'ennesima festività forzata, sentenzia:
"Beh… anche questo Natale ce lo semo levato dalle palle."

Nessuno ride. Ma tutti capiscono.

Riccardo Garrone chiude così la prima vera commedia natalizia italiana. Una frase che diventa proverbiale, scolpita nella memoria collettiva.

Il cinepanettone nasce qui. Con un brindisi, e un sospiro di sollievo.

🎞️ 10. "Ah, mo sto bene" – Accattone (1961) 

La fuga. La moto rubata. L'asfalto. Poi, il silenzio.

Accattone, ladro di periferia, finisce la sua corsa contro un autocarro. È la fine di tutto. Ma lui, con la testa spaccata e il sangue in bocca, sorride. E dice:
"Aaah… Mo' sto bene!"

Non è una battuta. È un epitaffio.
Pasolini firma il suo esordio alla regia con una frase che sembra una bestemmia e invece è una benedizione. Perché per uno come Accattone, cresciuto fra fame, sfruttamento e carcasse di sogni, la morte è l'unica tregua.

Franco Citti la dice come se fosse vero. E lo è.
Per la prima volta, Accattone non ha più fame. Non ha più paura. Non deve più arrangiarsi.

È morto. Ma, per una volta, sta bene.

Sasha Bazzov


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