
Attila Flagello di Dio (1982, Castellano e Pipolo)
Soggetto: Castellano e Pipolo e Mario Cecchi Gori
Produttore: Mario Cecchi Gori e Vittorio Cecchi Gori
Casa di produzione: Intercapital
Distribuzione in italiano: Titanus
Fotografia: Carlo Carlini
Montaggio: Antonio Siciliano
Musiche: Franz Di Cioccio, Franco Mussida e PFM
Con Diego Abatantuono, Rita Rusic, Angelo Infanti, Francesco Salvi, Toni Ucci, Tiberio Murgia
Descrizione
Le campagne di Segrate si stendono come una distesa di fango e ambizioni mal riposte, mentre una tribù di barbari si muove goffa come un branco di anatre ubriache. L'aria vibra di grida scomposte e proclami assurdi, mentre il destino tesse la sua tela comica.
Ardarico emerge dal caos come un improbabile condottiero, i suoi occhi brillano di una follia contagiosa mentre si autoproclama Attila. La sua voce tuona nel dialetto più improbabile mai sentito a nord del Po, mentre raduna il suo esercito di straccioni che farebbe vergognare persino i Visigoti.
Le terre dell'impero tremano, non di paura ma di risate trattenute, mentre questa banda di «sbabbari» avanza verso Roma come una compagnia teatrale fuori controllo. Uraia si muove tra questi guerrieri come una visione di grazia improbabile, mentre Fetuffo inciampa nella Storia con la delicatezza di un cinghiale in una bottega di anfore.
Roma attende il suo destino, governata da un Romolo Augustolo che gestisce l'impero come un chiosco di bevande calde. I suoi occhi smarriti scrutano l'orizzonte, mentre il destino si avvicina parlando in stretto dialetto settentrionale.
Il finale si dipana come un arazzo impazzito di amori improbabili e fughe rocambolesche, mentre la Storia viene riscritta a suon di battute e gag, accompagnata da una colonna sonora che mescola progressive rock e barbariche sonorità come in un frullato musicale allucinato.
Giudizio critico
Attila Flagello di Dio rappresenta l'apice della commedia demenziale italiana anni '80. Con un budget limitato, il film incassò oltre 3 miliardi di lire, lanciando definitivamente la carriera di Abatantuono. L'opera, nonostante (o forse grazie a) la sua totale irriverenza storica, è diventata un cult movie, dimostrando come il cinema popolare italiano sapesse ancora creare personaggi memorabili anche nelle sue incarnazioni più assurde.