
I Fantastici Quattro: Gli Inizi - Quando l'estetica non basta a salvare la sostanza
Data di uscita Italia: 23 luglio 2025
Regia: Matt Shakman
Sceneggiatura: Josh Friedman, Eric Pearson, Jeff Kaplan, Ian Springer
Soggetto: Eric Pearson, Jeff Kaplan, Ian Springer, Kat Wood
Produzione: Marvel Studios
Durata: 115 minuti
Universo narrativo: Marvel Cinematic Universe - Fase 6 (Terra-828)
Cast principale: Pedro Pascal, Vanessa Kirby, Joseph Quinn, Ebon Moss-Bachrach, Julia Garner, Ralph Ineson, Natasha Lyonne, Paul Walter Hauser, Sarah Niles, Mark Gatiss
Direttore della fotografia: Jess Hall
Montaggio: Nona Khodai, Tim Roche
Musiche: Michael Giacchino
Tra nostalgia retro-futurista e ambizioni incompiute, il nuovo capitolo dei Fantastici Quattro di Matt Shakman rappresenta un tentativo affascinante ma imperfetto di rilanciare la Prima Famiglia Marvel. Un film che brilla per stile visivo e atmosfera d'epoca, ma che inciampa quando deve tradurre la sua estetica ricercata in sostanza narrativa ed emotiva.
I Fantastici Quattro: Gli Inizi - Quando l'estetica non basta a salvare la sostanza
C'è qualcosa di profondamente ironico nel fatto che I Fantastici Quattro: Gli Inizi arrivi nelle sale a pochi giorni di distanza dal Superman di James Gunn. Entrambi i film tentano un'operazione simile: recuperare l'innocenza perduta del genere supereroistico attraverso un ritorno alle radici fumettistiche, abbracciando un'estetica vintage che strizza l'occhio al passato mentre cerca di parlare al presente. Ma dove Gunn riesce a infondere al suo Uomo d'Acciaio una genuina carica emotiva e una visione autoriale coerente, Matt Shakman - già regista dell'acclamata WandaVision - sembra perdersi tra le cromature scintillanti del suo retrofuturismo anni '60.
La direzione della fotografia di Jess Hall trasforma ogni inquadratura in una cartolina d'epoca alternativa, dove l'architettura modernista si fonde con auto volanti e design da era spaziale. È come se i Jetsons avessero incontrato Mad Men in un universo parallelo dove l'ottimismo kennediano non è mai morto. Michael Giacchino, veterano Marvel, firma una delle sue partiture più ispirate, con quel coro epico che intona "Fantastic Fourrrrrr!" destinato a diventare iconico quanto il tema degli Avengers.
Ma è proprio quando entriamo nel merito della storia che emergono i problemi. La scelta di ambientare il film su Terra-828, saltando completamente le origini del quartetto, è insieme audace e problematica. Ci ritroviamo catapultati in medias res con eroi già affermati, celebrati in uno show televisivo stile Ed Sullivan. È una mossa che paga in termini di ritmo - niente radiazioni cosmiche, niente trasformazioni dolorose - ma che ci priva di quel percorso emotivo fondamentale che lega lo spettatore ai personaggi.
Pedro Pascal porta al suo Reed Richards una gravitas inedita per il personaggio, oscillando tra il genio ossessivo e il marito premuroso con una naturalezza che solo un attore del suo calibro può permettersi. Vanessa Kirby emerge come la vera sorpresa del cast: la sua Sue Storm è insieme vulnerabile e potente, materna e guerriera. La gravidanza del personaggio diventa il fulcro emotivo attorno a cui ruota l'intera vicenda, sollevando questioni sulla famiglia, il sacrificio e le responsabilità del potere che il film, purtroppo, affronta solo superficialmente.
Il dilemma morale al centro della trama tocca corde potenzialmente profonde. Galactus, doppiato con minacciosa gravità da Ralph Ineson, non vuole solo divorare la Terra: chiede in cambio della salvezza il figlio non ancora nato di Reed e Sue. È un conflitto che riecheggia miti antichi - il sacrificio di Abramo, le offerte agli dei - ma anche ansie contemporanee sulla genitorialità e le scelte impossibili. Eppure, proprio quando la tensione dovrebbe raggiungere il culmine, la risoluzione arriva con una facilità che sa di opportunità mancata.
Joseph Quinn infonde nel suo Johnny Storm un'energia caotica che ricorda il giovane Chris Evans, ma con meno carisma naturale. Le sue interazioni con la Silver Surfer di Julia Garner - una scelta di gender-swap che funziona meglio sulla carta che sullo schermo - promettono scintille che non si accendono mai davvero. Garner, attrice di talento indiscutibile, si trova intrappolata in un ruolo che la trasforma in poco più di un ornamento cromato con problemi esistenziali.
È Ebon Moss-Bachrach a regalare i momenti più toccanti del film. Il suo Ben Grimm è una creatura tragica che nasconde un cuore tenero sotto tonnellate di roccia arancione. La sottotrama romantica con il personaggio di Natasha Lyonne - una maestra elementare che vede oltre l'apparenza mostruosa - offre sprazzi di umanità genuina in un film che altrimenti rischia di perdersi nella propria costruzione stilistica.
L'indecisione tonale emerge come il problema principale. Shakman sembra incerto se abbracciare completamente il camp anni '60, virare verso il dramma familiare o puntare sull'epica cosmica. Il risultato è un'opera che cambia registro con la frequenza di un adolescente che cambia canale, senza mai trovare la propria voce distintiva. Anche le scene d'azione, pur tecnicamente competenti, mancano di quella inventiva che ci si aspetterebbe da un team con poteri così visivamente interessanti.
Il confronto con altri tentativi cinematografici sui Fantastici Quattro è inevitabile e, bisogna ammetterlo, questo è sicuramente il più riuscito. Ma è un po' come dire che è il migliore studente di una classe particolarmente scarsa. Il film di Tim Story del 2005 aveva almeno il merito di una certa spensieratezza fumettistica; il reboot di Josh Trank del 2015 osava una visione più cupa e realistica (fallendo miseramente, ma almeno tentava qualcosa di diverso). Questo nuovo capitolo si posiziona in una zona di comfort che non dispiace ma nemmeno entusiasma.
C'è poi la questione del posizionamento nell'universo cinematografico Marvel. Dopo anni di interconnessioni sempre più complesse, di multiversi e timeline alternative, la scelta di creare un film sostanzialmente autonomo è rinfrescante. Non servono ore di "compiti a casa" per capire cosa succede, non ci sono riferimenti oscuri a serie Disney+ che solo i fan più accaniti hanno visto. È un approccio che funziona, almeno in teoria, ma che nella pratica rende il film stranamente disconnesso, come se esistesse in una bolla temporale tutta sua.
Le due scene post-crediti (ovviamente presenti) promettono collegamenti futuri con il resto del Marvel Cinematic Universe, in particolare con i prossimi film degli Avengers. Ma dopo due ore passate in questo mondo retrofuturista autocontenuto, l'idea di vedere questi personaggi interagire con Thor o Spider-Man sembra quasi una violazione dell'atmosfera così accuratamente costruita.
In definitiva, I Fantastici Quattro: Gli Inizi è un film che si guarda con piacere ma si dimentica in fretta. È competente senza essere memorabile, stiloso senza essere sostanzioso. In un'epoca in cui il pubblico dei cinecomic è sempre più esigente e sofisticato, questo approccio "sicuro" rischia di non accontentare nessuno: troppo nostalgico per i giovani, troppo superficiale per gli adulti, troppo timido per chi cerca innovazione nel genere.
Matt Shakman ha dimostrato con WandaVision di saper giocare con i generi e le aspettative. Qui sembra frenato da troppe cautele, come se il peso di rilanciare un franchise così sfortunato lo avesse paralizzato creativamente. Il risultato è un film che fa tutto bene senza eccellere in nulla, che intrattiene senza emozionare, che passa senza lasciare traccia.
Forse il problema è proprio nell'approccio: invece di chiedersi "come possiamo fare un buon film sui Fantastici Quattro?", sembra che la domanda sia stata "come possiamo non sbagliare con i Fantastici Quattro?". E nel cinema, come nella vita, giocare per non perdere raramente porta alla vittoria. Come direbbe Ben Grimm: "È il momento del riflettere!" E per Marvel, forse è davvero giunto il momento di riflettere non solo su dove sta andando il suo universo cinematografico, ma anche su quanto coraggio è disposta a mettere nel raccontare le sue storie.

Sasha Bazzov