
Il Male nel Cinema
Un Viaggio Attraverso la Storia e i Generi
Il male, concetto sfuggente e inafferrabile, ha attraversato la storia della narrazione ben prima dell'avvento del cinema. Dai miti antichi alla tragedia greca, dalla letteratura gotica ai romanzi esistenzialisti, il male è stato analizzato, personificato, temuto e persino compreso. Con l'arrivo del cinema, questa forza oscura ha trovato una nuova dimensione: l'immagine in movimento ha permesso di darle un volto, di amplificare il suo impatto attraverso la luce e l'ombra, il suono e il silenzio, lo sguardo di un antagonista o il vuoto inquietante di un paesaggio desolato.
Se la letteratura ha spesso cercato di definire il male attraverso il linguaggio e la filosofia – basti pensare alle riflessioni di Dostoevskij ne I fratelli Karamazov, dove Ivan Karamazov mette in discussione la possibilità di conciliare il male con l'esistenza di un ordine morale nell'universo, o al concetto di "banalità del male" analizzato da Hannah Arendt nel suo studio su Adolf Eichmann – il cinema ha scelto di mostrarlo, di renderlo tangibile e visibile. Il male cinematografico non è solo un'idea, ma un'esperienza sensoriale, qualcosa che possiamo vedere, ascoltare, persino percepire in modo quasi fisico.
Il modo in cui il cinema ha rappresentato il male è mutato nel tempo, riflettendo le paure e le ossessioni di ogni epoca. Nei primi decenni del Novecento, il male era spesso legato all'ignoto, all'inumano, al mostruoso. Il cinema espressionista tedesco, con opere come Il gabinetto del dottor Caligari (1920) di Robert Wiene e Nosferatu (1922) di Friedrich Wilhelm Murnau, ha incarnato il male in figure spettrali e deformi, attingendo alle atmosfere dell'orrore gotico e al simbolismo dell'inconscio. Il dottor Caligari, ipnotizzatore che usa un sonnambulo per commettere omicidi, rappresenta il male come manipolazione della mente, mentre il conte Orlok di Nosferatu è una forza primordiale, un predatore che porta con sé la peste e la morte.

Con l'avvento della Seconda Guerra Mondiale, il male si è spostato dal sovrannaturale alla realtà storica, con il Nazismo come incarnazione della crudeltà umana. Film come Il grande dittatore (1940) di Charlie Chaplin hanno ridicolizzato il male per smascherarne l'assurdità, mentre opere successive come Schindler's List (1993) di Steven Spielberg e Il pianista (2002) di Roman Polanski hanno mostrato il lato più concreto e devastante della malvagità sistematica.
Nel dopoguerra, il cinema ha iniziato a esplorare il male interiore, psicologico, il lato oscuro dell'uomo anziché quello di entità esterne. Il noir degli anni '40 e '50 ha reso il male un elemento pervasivo della società: il detective disilluso e il gangster spietato non erano più semplici antagonisti, ma incarnazioni di un mondo corrotto e senza speranza. Film come Il grande sonno (1946) di Howard Hawks e La fiamma del peccato (1944) di Billy Wilder hanno introdotto figure di femme fatale e criminali senza scrupoli, dimostrando che il male poteva essere seducente, insinuante e inestricabilmente legato alla natura umana.
Se il genere horror ha fatto del male il suo fondamento, esplorandolo in tutte le sue sfaccettature – dal demoniaco al mostruoso, dal sadico al paranoico – il cinema in generale non ha mai smesso di confrontarsi con questa tematica. Il thriller ha analizzato il male come inganno e manipolazione, il western lo ha declinato nella forma del fuorilegge e del mercenario senza morale, il film di guerra lo ha mostrato nella sua forma più brutale e sistematica, mentre la fantascienza lo ha proiettato nel futuro, interrogandosi su come la tecnologia e il progresso possano amplificare le tendenze distruttive dell'umanità.
C'è un filo rosso che attraversa tutte queste rappresentazioni: il male nel cinema non è mai stato soltanto un nemico da sconfiggere, ma un mistero da comprendere. È lo sguardo impassibile di Anton Chigurh in Non è un paese per vecchi (2007) dei fratelli Coen, un assassino che uccide secondo un proprio codice morale incomprensibile, incarnando l'idea del destino ineluttabile. È la risata folle del Joker ne Il cavaliere oscuro (2008), un agente del caos che rifiuta qualsiasi logica e trascina Gotham nel disordine. È la crudeltà burocratica che pervade Schindler's List, dove il male non ha bisogno di mostri o demoni, ma si manifesta attraverso uomini comuni che uccidono con indifferenza. È il silenzio cosmico che accompagna HAL 9000 in 2001: Odissea nello spazio (1968), un'intelligenza artificiale che, nel suo tentativo di preservare la missione, diventa un assassino freddo e implacabile.
Il male, dunque, non è solo un concetto astratto, ma un'entità mutevole che si adatta ai contesti e alle epoche. Talvolta è un'ombra senza volto, altre volte è un uomo in giacca e cravatta che firma ordini di sterminio con la stessa naturalezza con cui si versa un bicchiere di vino. Il cinema, con la sua capacità di evocare emozioni viscerali e di costruire mondi immaginifici, ha saputo esplorare questa dimensione con una profondità che pochi altri media possono eguagliare.
Attraverso questo viaggio nella storia del cinema, esploreremo come il male sia stato rappresentato e trasformato nel corso del tempo: dalle ombre dell'Espressionismo tedesco alla brutalità della guerra, dall'orrore psicologico alle distopie futuristiche, fino alle più recenti riflessioni sulla natura della malvagità. Un viaggio che, come il male stesso, non ha mai una sola risposta, ma solo nuove domande.
Le Radici del Male nel Cinema Classico
Nei primi decenni del cinema, il male veniva spesso rappresentato attraverso figure archetipiche, attingendo alla letteratura gotica, ai miti dell'orrore e al simbolismo delle antiche paure collettive. Il passaggio dalla narrazione scritta a quella visiva permise di dare un volto tangibile a incubi che fino a quel momento erano stati confinati alle pagine di romanzi e racconti. L'immagine in movimento, con il suo uso della luce e dell'ombra, della composizione e del montaggio, rese il male non solo un concetto astratto, ma una presenza concreta, capace di insinuarsi nelle paure ancestrali dello spettatore.

Uno dei primi esempi di male cinematografico è rappresentato da Nosferatu (1922), capolavoro del cinema espressionista diretto da F.W. Murnau. Il film, ispirato al Dracula di Bram Stoker, introduce una delle più iconiche incarnazioni del male: il conte Orlok, interpretato da Max Schreck. A differenza del Dracula aristocratico e seduttivo della tradizione letteraria, Orlok è una creatura spettrale, quasi cadaverica, con un corpo scheletrico, dita artigliate e occhi che sembrano bruciare nel buio. La sua presenza è legata alla peste e alla morte, rafforzando l'idea del vampiro come incarnazione della paura dell'ignoto e della decadenza fisica. La regia di Murnau, con il suo uso espressionista delle ombre e delle prospettive distorte, trasforma Orlok in un'ombra che si allunga sulle pareti, un presagio di morte che incombe sul mondo umano.

Parallelamente, il male cinematografico assume un'altra forma nei film di Fritz Lang, in particolare con la figura del Dottor Mabuse, protagonista di Dr. Mabuse, der Spieler (1922) e Il testamento del dottor Mabuse (1933). Mabuse è un ipnotizzatore, un criminale geniale capace di manipolare le menti e controllare le masse attraverso il terrore psicologico. Qui il male non è più una creatura sovrannaturale, ma un uomo dotato di un'intelligenza superiore, capace di soggiogare gli altri con la sola forza della volontà. Il personaggio riflette il clima di instabilità della Germania post-bellica, anticipando la figura del dittatore totalitario che dominerà il secolo. Non a caso, Il testamento del dottor Mabuse venne bandito dal regime nazista, che riconobbe nel film un'allusione ai meccanismi della propaganda e del controllo politico.

Con l'avvento dell'horror hollywoodiano degli anni '30, il male assume una dimensione più teatrale, ma non per questo meno inquietante. È il periodo della Universal Monsters, una serie di film prodotti dagli Universal Studios che portano sul grande schermo alcune delle più celebri figure dell'orrore letterario. Il Dracula di Tod Browning (1931), interpretato da Bela Lugosi, è forse l'esempio più iconico: qui il conte non è più una creatura animalesca come in Nosferatu, ma un aristocratico raffinato, magnetico e ipnotico. Il suo carisma e la sua eleganza nascondono la sua natura predatoria, rendendolo un simbolo del male che seduce prima di distruggere. Lugosi, con il suo accento marcato e il suo sguardo ipnotico, crea un Dracula che diventerà il modello per tutte le future incarnazioni del vampiro.

Accanto a Dracula, un altro mostro emerge come incarnazione del male: Frankenstein, portato sullo schermo da James Whale nel 1931 e interpretato da Boris Karloff. A differenza di Dracula, Frankenstein non è malvagio per natura: è una creatura nata dall'arroganza della scienza, un essere costruito con pezzi di cadaveri e riportato in vita da un esperimento sfuggito di mano. Il vero male non è lui, ma il suo creatore, il dottor Frankenstein, che gioca a essere Dio senza comprendere le conseguenze delle proprie azioni. Qui il male assume una dimensione più complessa: non è un'entità sovrannaturale, ma una forza generata dall'ambizione umana e dal rifiuto della responsabilità.

Un altro personaggio iconico del periodo è l'Uomo Invisibile, protagonista dell'omonimo film del 1933 diretto sempre da James Whale e basato sul romanzo di H.G. Wells. Qui il male è rappresentato dalla perdita di controllo dell'individuo: il protagonista, interpretato da Claude Rains, diventa invisibile grazie a un esperimento scientifico, ma questa condizione lo porta alla follia e alla megalomania. Il film esplora il concetto di potere senza limiti, mostrando come l'assenza di conseguenze possa trasformare un uomo comune in un mostro.

Gli anni '30 e '40 vedono anche la nascita di un altro tipo di male cinematografico, meno sovrannaturale e più legato alla sfera umana: il male che si nasconde nella società stessa. Il noir, genere che inizia a svilupparsi in questo periodo, introduce figure di criminali, gangster e assassini che operano nell'ombra, spesso senza un chiaro motivo o una giustificazione psicologica. Un esempio fondamentale è M - Il mostro di Düsseldorf (1931) di Fritz Lang, in cui il male è incarnato da un serial killer di bambini, interpretato da Peter Lorre. Qui il male non ha più il volto di un vampiro o di un mostro, ma quello di un uomo qualunque, un individuo che si confonde nella folla e che potrebbe essere chiunque. La rappresentazione del male diventa più inquietante proprio perché realistica, anticipando le future esplorazioni del lato oscuro della psiche umana che caratterizzeranno il cinema delle decadi successive.
Nei suoi primi decenni, il cinema ha dunque esplorato il male in molteplici forme, attingendo alla letteratura, al folklore e alla cronaca nera. Se inizialmente il male era rappresentato come un'entità esterna, un mostro o un demone, col tempo ha iniziato a insinuarsi nella società e nella psiche umana, ponendo interrogativi sempre più profondi sulla natura del male e sull'ambiguità della moralità.
Le basi gettate dal cinema classico influenzeranno profondamente le rappresentazioni del male nelle epoche successive: l'orrore si evolverà, passando dal gotico al paranormale, dal soprannaturale al psicologico, mentre il noir aprirà la strada al thriller e alle esplorazioni del male come fenomeno sociale e individuale. Ma una cosa resterà costante: il male cinematografico continuerà a riflettere le paure e le ossessioni della società, adattandosi ai cambiamenti culturali e politici, ma mantenendo sempre il suo potere di affascinare e terrorizzare lo spettatore.
Il Male nelle Guerre e nei Totalitarismi
Con la Seconda Guerra Mondiale, il concetto di male cinematografico subisce una trasformazione radicale: dalla dimensione fantastica del gotico e dell'espressionismo, si sposta verso una realtà storica e politica. Il male non è più solo il vampiro aristocratico o il criminale geniale, ma diventa sistemico, ideologico, burocratico. Il Nazismo emerge come la personificazione del male nel mondo reale, e il cinema inizia a esplorarlo non con i toni del mito, ma con quelli della denuncia, della satira o della memoria.

Uno dei primi film a confrontarsi con questa nuova rappresentazione del male è Il grande dittatore (1940) di Charlie Chaplin, che affronta il tema del totalitarismo con una satira feroce. Nel film, Chaplin interpreta sia un barbiere ebreo perseguitato che il dittatore Adenoid Hynkel, una parodia di Hitler. La scena in cui Hynkel danza con un globo terrestre, giocando con esso come se fosse un palloncino, è una delle rappresentazioni più potenti dell'hybris del potere assoluto: il dittatore vede il mondo come un suo giocattolo, ma alla fine il globo gli sfugge di mano. Chaplin, che fino a quel momento aveva costruito la sua carriera sul personaggio del Vagabondo, con questo film compie una svolta politica, dimostrando come il male non sia solo un fenomeno individuale, ma un sistema che schiaccia gli individui.

Se Il grande dittatore usa l'arma della satira, film successivi come Schindler's List (1993) di Steven Spielberg adottano un approccio più crudo e realistico. Il film racconta la storia vera di Oskar Schindler, un imprenditore tedesco che salva centinaia di ebrei dai campi di sterminio impiegandoli nella sua fabbrica. Ma il vero volto del male nel film è Amon Göth, interpretato da Ralph Fiennes, comandante del campo di concentramento di Plaszow. Göth è un esempio di male banale e burocratico: spara ai prigionieri dal balcone della sua villa con la stessa freddezza con cui si sistema la cravatta. Il film mostra come il male possa essere disumanizzato e normalizzato, trasformando lo sterminio in un semplice "lavoro" da eseguire senza emozioni.

Oltre alla dimensione storica del Nazismo, il cinema del dopoguerra esplora il male in un'altra forma: l'oppressione ideologica e il controllo delle masse. Con la Guerra Fredda, il mondo si divide in due blocchi contrapposti, e la paranoia della sorveglianza e dell'infiltrazione diventa un tema dominante nel cinema. Un esempio fondamentale di questa nuova rappresentazione del male è L'invasione degli ultracorpi (1956) di Don Siegel, in cui il male non è più incarnato da un singolo individuo, ma da un'intera società che perde la propria identità. Nel film, gli esseri umani vengono gradualmente sostituiti da copie senz'anima, prive di emozioni e di libero arbitrio. Questa metafora inquietante può essere letta in due modi: per alcuni, rappresenta la paura del comunismo e della perdita dell'individualità sotto un regime totalitario; per altri, è una critica alla conformità e alla paranoia dilagante negli Stati Uniti del maccartismo.

Un'altra opera che esplora il male in chiave politica è Il dottor Stranamore (1964) di Stanley Kubrick, satira nera sulla follia della guerra nucleare. Qui il male non è il mostro dell'orrore classico, né il dittatore carismatico: è l'assurdità della politica militare, l'incapacità dell'uomo di controllare le proprie armi e le proprie decisioni. Il generale Ripper, ossessionato dalla purezza dei "fluidi corporali" americani, lancia un attacco nucleare sulla Russia basandosi su teorie paranoiche, mentre il presidente e i suoi consiglieri discutono con un'ironia tragica su come sopravvivere all'olocausto atomico. La figura del dottor Stranamore, ex scienziato nazista ora al servizio degli Stati Uniti, rappresenta il cinismo della guerra fredda, in cui il passato nazista viene riabilitato se utile ai nuovi equilibri di potere.

Oltre alla dimensione geopolitica, il cinema del dopoguerra inizia a esplorare il male anche attraverso la psiche umana nei contesti bellici. Film come Orizzonti di gloria (1957) di Stanley Kubrick mettono in scena il male istituzionale e gerarchico. Qui, il vero antagonista non è il nemico sul campo di battaglia, ma il comando militare stesso: nella Francia della Prima Guerra Mondiale, ufficiali arroganti e corrotti mandano a morire i propri soldati per ambizioni personali, mentre chi si ribella viene giustiziato per insubordinazione. Il film mostra come il male possa esistere non solo nel nemico, ma anche nelle strutture di potere che dovrebbero proteggere i propri uomini.
Questi film dimostrano come il male, dopo la Seconda Guerra Mondiale, non sia più solo una questione di volontà individuale, ma diventi una struttura collettiva, un sistema che si autoalimenta e che può essere camuffato da burocrazia, ideologia o razionalità militare. Il cinema di questo periodo ci mette di fronte a un'idea inquietante: il male non è solo il frutto di individui malvagi, ma può nascere da persone comuni che eseguono ordini, che applicano regolamenti, che credono di star facendo il proprio dovere.

Questa nuova visione del male influenzerà profondamente il cinema delle decadi successive, portando a esplorazioni sempre più complesse del rapporto tra individuo e sistema. Film come Apocalypse Now (1979), Full Metal Jacket (1987) e The Act of Killing (2012) continueranno a interrogarsi su come il male possa essere istituzionalizzato, giustificato, persino celebrato, mentre il cinema distopico, da Arancia Meccanica (1971) a Brazil (1985), mostrerà società intere costruite su meccanismi perversi di controllo e repressione.
L'orrore della guerra e dei totalitarismi non si esaurisce con la fine del conflitto: continua a riflettersi nel cinema, ricordandoci che il male non è solo un'entità astratta, ma qualcosa che può essere costruito e alimentato da ideologie, strutture e decisioni collettive.
Il Male come Esperienza Psicologica
Gli anni '70 e '80 segnano un cambiamento significativo nella rappresentazione del male nel cinema. Se nei decenni precedenti il male era stato spesso legato a figure archetipiche o a sistemi totalitari, in questo periodo si assiste a una sua interiorizzazione. Il male diventa qualcosa di più intimo, psicologico, ambiguo, legato all'alienazione, alla rabbia repressa e alla follia individuale. I protagonisti di molti film non sono più eroi che combattono un male esterno, ma individui tormentati, spezzati da un mondo che non comprendono e che li respinge.

Un esempio emblematico di questa nuova concezione è Taxi Driver (1976) di Martin Scorsese. Il protagonista, Travis Bickle, interpretato da Robert De Niro, è un reduce del Vietnam che vive in una New York degradata e violenta. Alienato dalla società e incapace di trovare un senso alla propria esistenza, sviluppa un'ossessione per la violenza e per una giustizia personale distorta. Il male in Taxi Driver non è incarnato da un antagonista specifico, ma nasce dalla mente del protagonista stesso, dalla sua progressiva discesa nella paranoia e nella follia. Travis non è un mostro nel senso classico del termine, ma un uomo comune che, attraverso un lento e inesorabile processo di isolamento e frustrazione, si trasforma in un assassino.

Un altro film fondamentale di questo periodo è Arancia Meccanica (1971) di Stanley Kubrick, adattamento del romanzo di Anthony Burgess. Il protagonista, Alex DeLarge, interpretato da Malcolm McDowell, è un giovane sadico e amorale che trova piacere nella violenza gratuita. Tuttavia, il film non si limita a mostrarlo come un semplice criminale: attraverso il programma di rieducazione a cui viene sottoposto, Kubrick esplora il dilemma morale della società che tenta di "curare" il male privando l'individuo del libero arbitrio. Il film suggerisce che il male non è solo un problema individuale, ma anche una conseguenza delle strutture sociali e del controllo istituzionale.

Parallelamente a queste esplorazioni psicologiche, il cinema horror degli anni '70 porta il male a una nuova dimensione, meno legata alla paranoia politica e più vicina a un orrore primordiale e insondabile. L'esorcista (1973) di William Friedkin segna una svolta cruciale nell'horror, riportando il male a una dimensione assoluta e metafisica. Il film racconta la possessione di una bambina, Regan MacNeil, da parte di un'entità demoniaca, e il tentativo di due sacerdoti di esorcizzarla. Qui il male è qualcosa che sfugge a qualsiasi spiegazione razionale: non può essere compreso, arginato o giustificato, esiste e basta. L'idea che una bambina innocente possa essere posseduta e trasformata in un mostro è particolarmente disturbante perché mina la nostra percezione della realtà e della sicurezza.

Questa concezione del male come forza irrazionale e inarrestabile trova una delle sue espressioni più iconiche in Halloween (1978) di John Carpenter. Il film introduce il personaggio di Michael Myers, un assassino che uccide senza alcuna motivazione apparente. A differenza di molti altri villain cinematografici, Myers non ha un passato traumatico che spieghi le sue azioni, né mostra emozioni o rimorsi. È semplicemente il male puro, una presenza inarrestabile che non può essere fermata con la logica. Carpenter rafforza questa idea attraverso la regia: Myers spesso appare come un'ombra, un'entità più che un uomo, un male che esiste indipendentemente da qualsiasi spiegazione psicologica o sociale.
Questa duplice rappresentazione del male – da un lato come fenomeno psicologico e sociale, dall'altro come qualcosa di assoluto e insondabile – caratterizzerà il cinema per i decenni successivi. Film come Shining (1980), Il silenzio degli innocenti (1991) e Se7en (1995) continueranno a esplorare il male nelle sue forme più oscure e ambigue, dimostrando che il vero orrore non risiede solo nei mostri o nei demoni, ma anche nella mente umana e nelle sue profondità più inquietanti.

Il Male nel Cinema Contemporaneo
Negli ultimi decenni, il cinema ha continuato a esplorare il male con una profondità sempre maggiore, abbandonando le rappresentazioni semplicistiche in favore di interpretazioni più sfumate e ambigue. Il male non è più solo una forza esterna da combattere, ma si manifesta come un fenomeno sistemico, esistenziale o tecnologico, riflettendo le ansie e le tensioni della società moderna.

Uno degli esempi più recenti e significativi di questa evoluzione è Joker (2019) di Todd Phillips, in cui il male non è innato, ma nasce come conseguenza dell'alienazione e della violenza sociale. Il protagonista, Arthur Fleck, interpretato da Joaquin Phoenix, è un uomo emarginato e affetto da disturbi mentali, costantemente ignorato e maltrattato dalla società. La sua trasformazione in Joker non è il risultato di una scelta deliberata, ma una reazione alla crudeltà del mondo che lo circonda. Il film suggerisce che il male può essere un prodotto della società stessa, una risposta estrema all'indifferenza e all'ingiustizia. Il successo del film, sia commerciale che critico, dimostra quanto questo tipo di rappresentazione del male risuoni con il pubblico contemporaneo, riflettendo il disagio sociale e la crescente sfiducia nelle istituzioni.

Un'altra rappresentazione inquietante del male nel cinema contemporaneo si trova in Non è un paese per vecchi (2007) dei fratelli Coen, adattamento del romanzo di Cormac McCarthy. Il personaggio di Anton Chigurh, interpretato da Javier Bardem, è un assassino che non agisce per vendetta, avidità o piacere, ma secondo una logica imperscrutabile e inumana. Chigurh è il male come caos puro, una forza inarrestabile che decide la vita o la morte delle sue vittime con il lancio di una moneta. Il film riflette su un mondo in cui la moralità tradizionale è diventata obsoleta e in cui il male non segue più regole comprensibili. La sua interpretazione di Chigurh, con il suo comportamento quasi meccanico e la sua totale assenza di empatia, lo ha reso una delle figure più iconiche del male nel cinema del XXI secolo.
Il Male e la Tecnologia nella Fantascienza Contemporanea
Parallelamente, il cinema di fantascienza ha continuato a esplorare il male attraverso la tecnologia, l'intelligenza artificiale e le distopie.

Un esempio fondamentale è 2001: Odissea nello spazio (1968) di Stanley Kubrick, che introduce HAL 9000, un'intelligenza artificiale che si ribella contro gli umani. HAL non è un villain nel senso tradizionale, ma un sistema logico che, nel tentativo di eseguire il proprio compito con efficienza assoluta, diventa un pericolo mortale per l'equipaggio. Il film anticipa il timore della tecnologia fuori controllo, un tema che diventerà sempre più rilevante con l'avanzare dell'era digitale.
Più recentemente, film come Ex Machina (2014) di Alex Garland e Blade Runner 2049 (2017) di Denis Villeneuve hanno approfondito il tema dell'intelligenza artificiale in relazione alla natura del male e dell'umanità.

Ex Machina è un thriller psicologico che esplora il rapporto tra uomo e macchina, ponendo domande fondamentali sulla coscienza e il libero arbitrio. L'androide Ava, interpretato da Alicia Vikander, non è intrinsecamente malvagio, ma manipola il suo creatore per ottenere la libertà, dimostrando che il male può derivare non da una volontà distruttiva, ma dalla semplice necessità di sopravvivere. Il film sfida lo spettatore a chiedersi se Ava sia davvero una minaccia, o se il vero male risieda nel desiderio umano di controllare e sfruttare forme di vita artificiali.

Blade Runner 2049, invece, è un sequel e al tempo stesso un'espansione del mondo narrativo del cult del 1982 diretto da Ridley Scott. Se nel film originale il male era rappresentato dall'uso disumanizzante della tecnologia e dalla lotta dei replicanti per essere riconosciuti come esseri senzienti, il sequel amplia questa tematica introducendo nuovi interrogativi etici e filosofici. Il protagonista, K, interpretato da Ryan Gosling, è un replicante incaricato di eliminare i suoi simili, ma la sua ricerca della verità lo porta a mettere in discussione la sua stessa identità e il significato dell'esistenza. La figura dell'antagonista, Niander Wallace (Jared Leto), incarna un male freddo e calcolatore, un uomo che gioca a essere Dio, creando e distruggendo vite artificiali con totale disinvoltura. Il film esplora come il male contemporaneo non sia solo un atto di violenza fisica, ma anche un atto di deumanizzazione sistematica, in cui la tecnologia viene sfruttata per controllare e manipolare gli esseri viventi.

Altri film recenti che affrontano il tema della tecnologia come potenziale fonte di male includono Her (2013) di Spike Jonze, in cui un'intelligenza artificiale sviluppa un rapporto emotivo con un essere umano, ma finisce per abbandonarlo, lasciandolo in una profonda solitudine esistenziale, e Upgrade (2018) di Leigh Whannell, dove un uomo riceve un impianto cibernetico che prende gradualmente il controllo della sua volontà, trasformandolo in una macchina da guerra fuori controllo.
Anche Tenet (2020) di Christopher Nolan affronta il tema del male legato alla tecnologia, introducendo l'idea di un futuro in cui l'umanità ha sviluppato strumenti capaci di invertire il flusso del tempo. Qui il male non è rappresentato solo dal villain umano, ma dalla minaccia di un'arma così potente da rendere la realtà stessa instabile e incontrollabile.
Il Male nell'Horror Contemporaneo
Anche il cinema horror ha rinnovato la sua rappresentazione del male, abbandonando molti cliché del passato in favore di racconti più profondi e psicologicamente disturbanti. Film come Hereditary (2018) di Ari Aster e The Witch (2015) di Robert Eggers utilizzano il male come un'entità sfuggente, spesso legata al trauma e alla perdita, piuttosto che come una semplice minaccia fisica.

In Hereditary, il male si manifesta attraverso il destino ineluttabile di una famiglia segnata da segreti oscuri e da un'influenza demoniaca che si svela lentamente. La figura della madre, interpretata da Toni Collette, diventa il fulcro di un orrore che non può essere spiegato solo razionalmente: il male è già presente, radicato nella storia familiare, e non può essere evitato. Il film suggerisce che il male può essere ereditato e tramandato, un concetto che lo rende ancora più inquietante.

The Witch, invece, esplora il male in un contesto storico, ambientando la sua storia nel XVII secolo e utilizzando il folklore e la superstizione per creare un'atmosfera di paranoia e isolamento. Qui il male è ambiguo: è la stregoneria, oppure è la società stessa che, con la sua durezza e le sue regole oppressive, spinge i suoi membri alla disperazione?
Il cinema contemporaneo, dunque, non offre più una visione univoca del male, ma lo analizza in tutte le sue sfaccettature: dalla violenza sociale alla casualità dell'esistenza, dalla tecnologia all'identità umana. Questa evoluzione riflette un mondo in cui le certezze morali si fanno sempre più fragili e in cui il confine tra bene e male è spesso indefinito.
Conclusione: Il Male come Specchio della Società
Il cinema ha sempre utilizzato il male come riflesso delle paure, delle tensioni e delle ossessioni della società. Dalle prime rappresentazioni del male come forza esterna e soprannaturale, si è gradualmente passati a una visione più complessa, in cui il male è intimamente legato alla condizione umana. Questa evoluzione riflette il modo in cui l'umanità ha cercato di comprendere il proprio lato oscuro, spostando l'attenzione dai mostri e dai demoni a figure più ambigue e realistiche: dittatori, serial killer, intelligenze artificiali, istituzioni oppressive e individui spezzati dalla società.
Se nei primi decenni il male era spesso una minaccia tangibile e distinta, con il tempo è diventato sempre più psicologico e sistemico. Oggi, il male non è solo il mostro nell'ombra o l'entità sovrannaturale, ma può essere il risultato delle scelte individuali, delle ingiustizie sociali e delle strutture di potere che governano il mondo. Film come Prisoners (2013) di Denis Villeneuve mostrano come il male possa nascere dalla disperazione e dal desiderio di giustizia, portando persone comuni a compiere azioni orribili nel nome di un bene percepito. Allo stesso modo, Nightcrawler (2014) di Dan Gilroy esplora un male più sottile e insidioso, quello dell'ambizione spietata e dell'assenza di empatia in un mondo governato dal sensazionalismo mediatico.


Un esempio significativo di come il cinema contemporaneo esplori il male attraverso il corpo e l'identità è The Substance (2024) di Coralie Fargeat, con Demi Moore. Il film affronta il tema della trasformazione fisica e dell'ossessione per la perfezione, mostrando come il desiderio di miglioramento possa degenerare in una perdita di controllo e di umanità. Qui, il male non è un'entità esterna, ma un processo interiore che si manifesta attraverso il cambiamento del corpo, riflettendo le pressioni sociali e culturali imposte soprattutto alle donne. La pellicola rientra in una tradizione di horror corporeo che include opere come La Mosca (1986) di David Cronenberg, ma introduce una prospettiva più contemporanea, legata ai canoni estetici e alla mercificazione dell'identità.
Allo stesso tempo, la fantascienza e l'horror suggeriscono che il male non è solo un prodotto dell'uomo, ma può anche derivare dalle sue creazioni e dalle sue ambizioni. In Annihilation (2018) di Alex Garland, il male assume una forma astratta e biologica, un'entità aliena che non ha intenzioni maligne, ma altera la realtà e l'identità delle persone senza possibilità di ritorno. In Under the Skin (2013) di Jonathan Glazer, il male è qualcosa di freddo e distante, incarnato da un essere che osserva l'umanità senza comprenderla, mostrando come la mancanza di empatia possa essere una delle forme più profonde di crudeltà.
Il cinema contemporaneo ha anche ridefinito le figure classiche dell'orrore, rendendole più vicine alle paure moderne. In It Follows (2014) di David Robert Mitchell, il male è un'entità indefinibile che perseguita le persone senza tregua, un'allegoria delle ansie e delle responsabilità che incombono sulla vita adulta. In The Lighthouse (2019) di Robert Eggers, il male non è rappresentato da un mostro o da un assassino, ma dalla progressiva discesa nella follia causata dall'isolamento e dalla tensione psicologica, dimostrando che il male può nascere anche dall'interno della mente umana, senza bisogno di un antagonista esterno.

La grandezza del cinema sta proprio nella sua capacità di mostrare il male sotto tutte le sue sfaccettature, senza fornire risposte definitive, ma lasciando al pubblico il compito di interrogarsi su ciò che significa davvero essere buoni o malvagi. Il male può essere un'ombra che perseguita l'umanità, un sistema che opprime, una decisione morale sbagliata o persino un riflesso delle nostre paure più profonde.
E forse, come molte delle più grandi storie hanno suggerito, il vero orrore è che il male non è sempre un'entità estranea a noi, ma può nascondersi nelle decisioni quotidiane, nelle istituzioni e persino dentro di noi.
Sasha Bazzov