
La Grande Abbuffata
Data di uscita: 24 settembre 1973 (Italia)
Regista: Marco Ferreri
Lingue: Francese, Italiano
Premi: FIPRESCI Prize of the Festival de Cannes
Sceneggiatura: Marco Ferreri, Rafael Azcona, Francis BlancheAnno: 1973
Cast: Ugo Tognazzi, Michel Piccoli, Marcello Mastroianni, Philippe Noiret, Andréa Ferréol
Marco Ferreri e l'apocalisse del benessere
Marco Ferreri è stato uno degli autori più visionari e controversi del cinema italiano. Con il suo sguardo lucido e impietoso, ha saputo raccontare le contraddizioni di una società in bilico tra progresso e autodistruzione. Ferreri non cercava di compiacere il pubblico; al contrario, lo sfidava, lo provocava, costringendolo a confrontarsi con i lati più scomodi e oscuri dell'esistenza umana. La sua filmografia, che include titoli come Dillinger è morto e La donna scimmia, è un viaggio nel grottesco, nell'assurdo, nella critica sociale più feroce.
Nel 1973, con La grande abbuffata, Ferreri raggiunge il culmine della sua poetica dissacrante. Questo film, che intreccia il grottesco al dramma esistenziale, è un'apocalisse del benessere, un'opera che trasforma l'eccesso in specchio di una società sull'orlo del collasso morale e fisico. Presentato al Festival di Cannes, dove fu accolto da fischi e scandalo, La grande abbuffata è oggi considerato un capolavoro imprescindibile, un'allegoria feroce sul consumismo, la noia e il vuoto esistenziale.

La trama: il banchetto della morte
La grande abbuffata racconta la storia di quattro uomini – Ugo, Michel, Philippe e Marcello – che decidono di ritirarsi in una villa parigina con l'obiettivo di suicidarsi mangiando fino alla morte. I protagonisti, interpretati da un cast straordinario composto da Ugo Tognazzi, Michel Piccoli, Philippe Noiret e Marcello Mastroianni, incarnano archetipi della società borghese: Ugo è uno chef raffinato e proprietario di un ristorante; Michel è un produttore televisivo divorziato e appassionato di danza; Philippe è un magistrato rigido e represso, ancora legato alla sua balia iperprotettiva; Marcello è un pilota dell'Alitalia, donnaiolo e amante del piacere.
Chiusi nella villa, i quattro uomini si abbandonano a un'orgia di cibo, sesso e decadenza. La loro abbuffata è interrotta solo dall'arrivo di Andréa, una maestra scolastica formosa e vitale, e di alcune prostitute. Andréa, a differenza delle altre donne, rimane con loro, diventando testimone e complice del loro autodistruttivo progetto.
Le morti si susseguono in un crescendo grottesco e surreale: Marcello è il primo a soccombere, ucciso dal gelo dopo aver tentato di fuggire dalla villa; Michel muore soffocato dal cibo, vittima delle sue crisi di meteorismo e flatulenza; Ugo si spegne davanti a un piatto di fegato a forma di Cupola di San Pietro, preparato da lui stesso; infine, Philippe muore tra le braccia di Andréa, dopo aver mangiato un dolce a forma di seno. La villa, ormai deserta, è invasa dai cani attratti dagli avanzi, simbolo di una natura che reclama ciò che l'uomo ha sprecato.

La critica sociale: il consumismo come autodistruzione
La grande abbuffata è molto più di un film sul cibo: è un'allegoria della società dei consumi e del vuoto esistenziale che essa genera. Ferreri, con il suo sguardo spietato, denuncia l'insostenibilità di un sistema che trasforma i bisogni primari in ossessioni e che, nel tentativo di sfuggire alla noia, conduce all'autodistruzione.
I quattro protagonisti non cercano solo di saziarsi, ma di colmare un vuoto interiore. Le loro vite, svuotate di senso e significato, si riducono a un ciclo di piaceri estremi che diventano, paradossalmente, la causa della loro rovina. Il cibo, il sesso e persino l'amicizia perdono il loro valore umano, diventando meri strumenti di un'esistenza ridotta all'essenziale, al fisiologico.
Ferreri non risparmia nessuno. La critica non è rivolta solo alla borghesia, ma a un'intera civiltà in crisi, incapace di trovare un equilibrio tra progresso e umanità. Nel personaggio di Andréa, unica figura femminile centrale, il regista intravede una possibilità di salvezza: la donna, legata alla vita per missione biologica, rappresenta l'ultimo baluardo contro l'annientamento totale.


La regia: il grottesco come linguaggio
La regia di Marco Ferreri è essenziale ma incisiva, capace di trasformare il grottesco in un linguaggio universale. La villa, con i suoi interni opulenti e il giardino invaso dagli avanzi, diventa un microcosmo in cui si consuma il dramma dell'umanità. Ogni inquadratura è un atto di accusa, ogni dettaglio un simbolo di decadenza.
La scelta del cast è cruciale: Tognazzi, Mastroianni, Piccoli e Noiret non interpretano semplicemente dei personaggi, ma versioni distorte di sé stessi, amplificando il senso di alienazione e assurdità che permea il film. La fotografia di Mario Vulpiani, con i suoi toni morbidi e le luci soffuse, contrasta con la brutalità delle immagini, creando un effetto straniante che amplifica il disagio dello spettatore.
Le musiche di Philippe Sarde, delicate e malinconiche, aggiungono una dimensione di tragicità al film, sottolineando l'inevitabilità del destino dei protagonisti. Ferreri non cerca mai di edulcorare la realtà: il suo è uno sguardo diretto, quasi chirurgico, che svela le miserie e le contraddizioni dell'essere umano.

Il messaggio universale: un'opera che inquieta e interroga
A distanza di decenni, La grande abbuffata rimane un'opera attuale e disturbante. Ferreri ci costringe a confrontarci con il lato oscuro del benessere, con le conseguenze di una società che ha perso il contatto con i suoi valori fondamentali.
Il film non offre risposte, ma pone domande scomode: quanto del nostro desiderio di consumo è autentico? Quanto siamo disposti a sacrificare in nome del piacere? E, soprattutto, cosa resta di noi quando tutto è stato consumato?
Con La grande abbuffata, Marco Ferreri ci lascia un'eredità cinematografica che non consola, ma scuote e illumina. È un'opera che, come i migliori film, non si limita a essere vista, ma vissuta.
Sasha Bazzov