La Piccola Bottega degli Orrori- Oltre la mezzanotte: visioni (libere) per cinefili insonni

Data di uscita: 14 agosto 1960
Regia: Roger Corman
Con: Jonathan Haze, Jackie Joseph, Mel Welles, Dick Miller, Jack Nicholson
Titolo internazionale: The Little Shop of Horrors
Genere: Horror, Commedia, Cult
Produzione: Stati Uniti
Durata: 72 minuti

Il respiro anarchico della Factory di Roger Corman 

Stanotte, nel buio rarefatto di un cinema che non si arrende, torniamo indietro nel tempo, in un'epoca di celluloide febbrile e libertà sfacciata. La piccola bottega degli orrori (1960) di Roger Corman non è un horror qualsiasi. Non è nemmeno solo una commedia. È un esperimento sgangherato, un'istantanea di un cinema che oggi non esiste più: quello nato nell'urgenza, nella fame creativa, nei ritmi folli di una produzione che trasformava il tempo in mito.

Corman era il re delle produzioni indipendenti, il maestro delle riprese rapide, il cineasta che girava un film nel tempo in cui un grande studio avrebbe appena acceso le luci sul set. La piccola bottega degli orrori è il suo capolavoro di velocità: due giorni e una notte di riprese, un budget che oggi basterebbe forse a coprire un pranzo di produzione, e un risultato che ancora oggi vibra di un'energia anarchica senza tempo.

Ma non lasciatevi ingannare dalla sua confezione umile. Questo film è molto più di una commedia dell'assurdo. È una creatura strisciante, un mostro di celluloide nato nell'ombra di Hollywood e cresciuto fino a diventare leggenda.

Un fiore velenoso nel cuore della cultura pop 

La trama è un delirio di ironia macabra. Seymour Krelborn, un timido e impacciato fiorista, incrocia il destino di Audrey Junior, una pianta carnivora che cresce a dismisura e si nutre di sangue umano. Ogni goccia che Seymour le dona la rende più grande, più famelica, più esigente. Fino a quando il gioco si trasforma in condanna, e l'innocuo impiegato diventa un assassino per necessità.

Corman e il suo sceneggiatore Charles B. Griffith costruiscono una satira feroce del sogno americano, una favola nera che ride della fame di successo e del prezzo che siamo disposti a pagare per ottenerlo. Seymour è l'uomo comune travolto da un destino grottesco, un Faust da bassifondi che vende la propria anima non per potere o ricchezza, ma per un po' di attenzione, per il desiderio ingenuo di non essere più invisibile.

Ma in questa fiaba malata, la pianta non è solo un mostro. È il riflesso di un mondo che divora chiunque osi sognare troppo in grande.

La Factory di Corman: un cinema di sangue, sudore e follia 

Nei bassifondi di Hollywood, lontano dalle grandi produzioni patinate, esisteva una fucina di creatività sfrenata: la Factory di Roger Corman. Qui, in pochi giorni e con budget ridicoli, nascevano film destinati a diventare cult. La piccola bottega degli orrori è uno dei suoi esperimenti più audaci, girato in un tempo record per sfruttare un set già allestito da una produzione precedente.

Corman era un produttore spietatamente efficiente. Ogni scena era calcolata per spremere fino all'ultima goccia di tempo e denaro. Gli attori erano spesso gli stessi, riciclati da un film all'altro, e il genio del regista stava nel trasformare le limitazioni in stile. Il bianco e nero sporco, le inquadrature strette, i set minuscoli diventano parte del linguaggio stesso del film, creando un'atmosfera claustrofobica e surreale.

E poi, c'è un nome che oggi riconoscerete subito: Jack Nicholson. Qui, giovane e ancora sconosciuto, appare in un ruolo minore, interpretando un paziente dentale sadomasochista in una scena tanto breve quanto indimenticabile. È una delle prime volte in cui il suo ghigno compare sullo schermo, e già si intuisce l'ombra del grande attore che sarebbe diventato.

Un'eredità immortale: dalla serie B a Broadway 

La piccola bottega degli orrori è un caso più unico che raro. Nato come un piccolo film destinato a scomparire tra i drive-in dell'epoca, ha avuto una seconda vita inaspettata. Nel 1982, Alan Menken e Howard Ashman ne trassero un musical che conquistò Broadway, trasformando la storia in un successo teatrale. E nel 1986, Frank Oz ne fece un remake con effetti speciali straordinari e canzoni memorabili, portando il mito della pianta assassina a un nuovo livello.

Ma nonostante queste reincarnazioni, l'originale di Corman resta una creatura unica, un fiore velenoso che continua a germogliare nelle menti dei cinefili. Perché non è solo un film. È una testimonianza di un cinema libero, selvaggio, capace di trasformare il nulla in leggenda.

Un finale inevitabile: il destino di Seymour 

E alla fine, come sempre, arriva il conto da pagare. Seymour, l'uomo che voleva solo amore e riconoscimento, scopre troppo tardi che la sua creatura non ha pietà. Quando si rende conto che Audrey Junior è fuori controllo, che è diventata troppo grande, troppo potente, tenta di distruggerla. Ma il mostro che abbiamo nutrito non si lascia abbattere facilmente.

Seymour fa l'unica cosa che gli resta: si getta nella bocca della pianta, diventando parte di ciò che ha creato. E quando l'ultimo petalo si chiude su di lui, il cerchio si chiude. Il sogno si trasforma in incubo.

E noi restiamo lì, con un sorriso amaro sulle labbra, sapendo che certe storie non finiscono mai davvero.

La pellicola gira. Il tempo si dissolve.

La notte è lunga. E noi siamo ancora qui.

Sasha Bazzov


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